Anniversari
A cinquant’anni dalla scomparsa di Ezio D’Errico, scrittore e artista di culto, esce, in mille copie numerate, questa nuova edizione di un suo romanzo poliziesco, con cui la «Fondazione Rosellini per la Letteratura Popolare» celebra il venticinquesimo della sua attività.
Contro la pena di morte
Gli estimatori vi ritroveranno il D’Errico di sempre. Dal punto di vista strettamente poliziesco, la trama è incentrata sul dramma di un indiziato che si proclama innocente, in spasmodica attesa, prima, del verdetto dei giudici, e poi dell’esecuzione capitale. E il commissario Richard muove mari e monti per ottenere rinvii e nuovi supplementi di inchiesta, ingaggiando una serrata, tormentosa gara col tempo per salvare l’uomo dalla ghigliottina e smascherare il vero colpevole. Le pagine in cui è descritto il calvario del condannato, che a poco a poco vede avvicinarsi l’ultimo dei suoi giorni, e sarà una mattina presto al boulevard Arago, sono di particolare intensità. Si consideri che D’Errico, come si espresse più volte dalle colonne del settimanale «Crimen», di cui fu direttore dal 1946 al 1952, era contrario alla pena di morte: «La vita umana è cosa troppo misteriosa (anche per chi non ha convinzioni religiose) per permettere a chicchessia di sopprimerla». In subordine a questo imperativo morale, prendeva in considerazione l’eventualità dell’errore giudiziario e la scarsa efficacia della pena di morte come deterrente del crimine.
Ça c’est Paris
Ma la vera protagonista di questo romanzo è Parigi: con le sue vie, le sue piazze, i quartieri, il mercato delle Halles, ora scomparso, il mercato del bestiame con i mattatoi, anche questi scomparsi (ora c’è un magnifico parco, alla Villette). La folla che popola quelle vie e quelle piazze è fatta di operai che al fischio delle sirene si avvicendano ai turni di lavoro, di flic che dirigono il traffico, di ragazzi che vanno a scuola, i più piccoli col naso rosso e una sciarpa colorata attorno al collo, i più grandi che nascondono la sigaretta nel cavo della mano e sbirciano le impiegate dei negozi di mode, di passanti che si fermano davanti alle vetrine dei grandi magazzini, di venditori ambulanti, di piccoli malviventi, che Richard conosce per nome e cognome e sa dove e quando trovarli (un giorno può capitare che posi una delle sue “zampe” sulla spalla di qualcuno e gli dica in argot: «Ah rieccoti, ci sei cascato di nuovo…», oppure «Hé, la môme! J’suis pas gourde», Ehi, monella! non sono mica uno stupido!). E in mezzo a questa varia umanità che si porta dietro odori di tabacco, di inchiostro, di sudore, di alcolici, di fritti, di sangue fresco (nei bistrot vicini ai mattatoi della Villette), ci sono anche i senzatetto. Uno di questi, poi, in un altro bellissimo romanzo di D’Errico, L’ospite inatteso (1942), ha per tetto l’intera città, perché ha trovato la sua tana nelle Catacombe di Parigi…
Il clochard parigino non è uno straccione
Ezio D’Errico in una foto del 1939
Il commissario Richard, «come qualunque buon borghese disoccupato, coi gomiti sul parapetto del canale che fiancheggia il boulevard della Bastille, gli occhi fissi alle imbarcazioni ormeggiate lungo la riva in attesa di infilare il tunnel dell’Arsenale», è attratto dalla vista di un clochard «avviluppato dentro certi sacchi sdruciti» che si è «già coricato nel rientrante del tunnel, preparandosi a passare la notte». Quasi a conclusione di un pensiero, osserverà, in un dialogo con l’amico e collaboratore dottor Milton, medico legale: «Il clochard parigino non è uno straccione, è l’uomo dell’età della pietra… è il primitivo che ha ridotto i suoi bisogni al minimo… e da quello si risale piano piano fino all’ultracivilizzato, ma che dico, all’uomo del futuro, quale potreste essere voi, caro Milton, che vi occupate di psicoterapia».
La bohème
Troppo facile dire che questa Parigi è la stessa in cui si muove il commissario Maigret. In parte è vero, ma, in sostanza, la Parigi di questo “Simenon italiano” è la Parigi di D’Errico, la città in cui lo scrittore visse nei primissimi anni Trenta. E sempre raccontava del suo periodo bohémien, in cui faceva il pittore e faceva anche la fame, come dell’epoca più bella della sua vita. Uno dei suoi ultimi scritti, tre mesi prima della morte, è un articolo in ricordo di Maurice Chevalier, che aveva conosciuto a Parigi nel 1931.
La messa in scena del delitto
Ma Non avrete la sua testa è un romanzo giallo e il lettore vorrà sapere qualcosa di più, in proposito, per esempio si interrogherà sull’illustrazione di copertina, disegnata da Andrea Fattori. Ebbene, vi è raffigurata la situazione iniziale, quasi di regola nel genere poliziesco, e cioè la scoperta della vittima. Ci troviamo in una delle ultime sale del Museo delle cere di Parigi (questo esiste ancora, stesso ingresso in boulevard Montmartre, numero 10). Una comitiva di visitatori, ormai intontiti, segue la guida che illustra i momenti più drammatici della Rivoluzione francese: le sedute del Tribunale Rivoluzionario, la prigionia della famiglia reale nella torre del Tempio, le teste mozze dei primi ghigliottinati e infine l’assassinio di Marat, che, come tutti abbiamo imparato sui libri di scuola, venne pugnalato, mentre si trovava nella tinozza da bagno, da Carlotta Corday. Una delle turiste, per un impulso infantile di curiosità, allunga una mano credendo di toccare la statua di cera di Marat e si accorge che si tratta di un uomo in carne e ossa, truccato da Marat. Un urlo, uno svenimento, e il gruppo dei turisti si sbanda. Spavento, orrore! Il morto-ammazzato (perché il finto Marat è, naturalmente, il morto-ammazzato) non poteva presentarsi con effetto più teatrale!
Loris Rambelli